Il nostro territorio è vittima di speculatori senza scrupolo.
La bilancia che dovrebbe regolare il potere privato a favore del bene pubblico purtroppo pende dalla parte sbagliata.
L’Italia, prima ancora che fosse stato italiano, aveva già un’antichissima tradizione di sensibilità per la “publica utilitas”. Molti giuristi negli anni hanno cercato di rintracciare all’inizio del XX secolo, nel diritto romano e negli editti papali e dei vari stati sul territorio italiano, antichi concetti che regolavano il bene pubblico. Questo perché nel primo periodo piemontese, dopo l’Unità di Italia, si rovesciarono i pesi che regolavano il diritto dei molti a favore di quello privato, preferito dal Senato dell’epoca (che ostacolava le leggi in contrasto con il pensiero piemontese favorevole al diritto privato).
Come ricorda Settis, l’assemblea costituente pochi anni dopo, aveva ben chiaro quando scrisse la Costituzione, che il diritto pubblico sarebbe dovuto prevalere in tutti gli ambiti del nuovo Stato. Ad oggi constatiamo che la speculazione edilizia è ancora fortemente presente proprio per questa perdita culturale di importanza del pubblico bene, rispetto a quello del singolo speculatore.
In ambito territoriale è stata lunga la strada per arrivare a corrette norme per la pianificazione e soprattutto corrette definizioni. Oggi possiamo affermare che il paesaggio è tutto il territorio (non solo il “bel” paese di estetica crociana). Il giurista Predieri affermò la definizione corretta nel lontano ’69 in un suo articolo; dovremo aspettare fino alla Convenzione Europea del 2000 per ritrovare conferma di tale definizione.
In Italia ci siamo aggiornati, dopo una lunga tradizione di leggi sulla tutela nel XX secolo, con il Codice dei beni culturali e paesaggistici del 2004 (e successive modifiche del 2006 e 2008). Nel Codice troviamo la soluzione per un corretto controllo del paesaggio. Attraverso i piani paesaggistici redatti da ogni Regione bisognerà studiare il territorio, trovando le eventuali problematiche e rivedere azioni volte alla tutela del paesaggio, cercando di riallacciare la scissione tra tutela del paesaggio e pianificazione urbanistica, avvenuta nel ’42.
Con i piani quindi si controllerà tutto il territorio, con i vincoli sui beni paesaggistici invece (“nudi” da “rivestire” e “vestiti” dati dal piano) si andrà a controllare precise zone per le quali si ritiene esserci valore storico e artistico, in intesa tra Soprintendenza e Regione.
Purtroppo di piani paesaggistici come richiesti dal Codice del 2008 se ne trovano solo due approvati: quello della Regione Toscana e quello della Regione Puglia. Un numero decisamente esiguo per una così importante forma di controllo territoriale.
Il lavoro per redigere un piano è sicuramente lungo ed impegnativo, e comporta lavoro per anni tra studio, rilievo e pianificazione, ma rimane comunque l’unico modo per evitare le degradanti periferie, altro tema caldo dei nostri tempi, oppure esempi di contenzioso tra Soprintendenza e Comuni, come nel caso del Colle dell’Infinito.
Qualche anno fa a Recanati un privato cittadino fece richiesta al Comune per un ampliamento di cubatura per la propria abitazione. Il caso fece scalpore perché l’abitazione si trovava proprio nel raggio visivo che dalla casa di Leopardi va verso il famosissimo colle. Essendo presente un vincolo paesaggistico sul colle, la Soprintendenza cercò di bloccare l’autorizzazione con i mezzi che possedeva, cioè estendendo il vincolo. Il ricorso al TAR fu prevedibile e così anche il verdetto: il cittadino vinse perché la Soprintendenza aveva agito con un “eccesso di potere”, l’ampliamento di cubatura venne realizzato.
Questa spiacevole situazione si sarebbe potuta evitare se fosse stato approvato un piano paesaggistico con il quale, tenuti conto i vincoli sui beni culturali e paesaggistici, si sarebbe evitata a monte una richiesta inopportuna, per la tutela del territorio, come questa appena citata.
Altro esempio: fuori Roma la via Ardeatina, nella zona di S. Palomba, interi quartieri residenziali (già poveri si servizi per la comunità) stanno subendo un altro tremendo fenomeno. Fabbriche, discariche e depositi petroliferi stanno pian piano accerchiando le abitazioni; ci tengo a precisare che non sono abitazioni abusive.
Se a monte fossero stati previsti nella pianificazione, i diversi ambiti nel territorio, ora i cittadini non si troverebbero a dividere le uniche strade di accesso alle zone residenziali e alle scuole con enormi tir.
Questo per dire che, finché il controllo sul territorio non verrà regolato da accurati piani paesaggistici, si verificheranno purtroppo situazioni di questo genere, nelle quali, come già detto, vincerà il singolo (speculatore o non) rispetto ad un più importante bene pubblico.
La bilancia che dovrebbe regolare il potere privato a favore del bene pubblico purtroppo pende dalla parte sbagliata.
L’Italia, prima ancora che fosse stato italiano, aveva già un’antichissima tradizione di sensibilità per la “publica utilitas”. Molti giuristi negli anni hanno cercato di rintracciare all’inizio del XX secolo, nel diritto romano e negli editti papali e dei vari stati sul territorio italiano, antichi concetti che regolavano il bene pubblico. Questo perché nel primo periodo piemontese, dopo l’Unità di Italia, si rovesciarono i pesi che regolavano il diritto dei molti a favore di quello privato, preferito dal Senato dell’epoca (che ostacolava le leggi in contrasto con il pensiero piemontese favorevole al diritto privato).
Come ricorda Settis, l’assemblea costituente pochi anni dopo, aveva ben chiaro quando scrisse la Costituzione, che il diritto pubblico sarebbe dovuto prevalere in tutti gli ambiti del nuovo Stato. Ad oggi constatiamo che la speculazione edilizia è ancora fortemente presente proprio per questa perdita culturale di importanza del pubblico bene, rispetto a quello del singolo speculatore.
In ambito territoriale è stata lunga la strada per arrivare a corrette norme per la pianificazione e soprattutto corrette definizioni. Oggi possiamo affermare che il paesaggio è tutto il territorio (non solo il “bel” paese di estetica crociana). Il giurista Predieri affermò la definizione corretta nel lontano ’69 in un suo articolo; dovremo aspettare fino alla Convenzione Europea del 2000 per ritrovare conferma di tale definizione.
In Italia ci siamo aggiornati, dopo una lunga tradizione di leggi sulla tutela nel XX secolo, con il Codice dei beni culturali e paesaggistici del 2004 (e successive modifiche del 2006 e 2008). Nel Codice troviamo la soluzione per un corretto controllo del paesaggio. Attraverso i piani paesaggistici redatti da ogni Regione bisognerà studiare il territorio, trovando le eventuali problematiche e rivedere azioni volte alla tutela del paesaggio, cercando di riallacciare la scissione tra tutela del paesaggio e pianificazione urbanistica, avvenuta nel ’42.
Con i piani quindi si controllerà tutto il territorio, con i vincoli sui beni paesaggistici invece (“nudi” da “rivestire” e “vestiti” dati dal piano) si andrà a controllare precise zone per le quali si ritiene esserci valore storico e artistico, in intesa tra Soprintendenza e Regione.
Purtroppo di piani paesaggistici come richiesti dal Codice del 2008 se ne trovano solo due approvati: quello della Regione Toscana e quello della Regione Puglia. Un numero decisamente esiguo per una così importante forma di controllo territoriale.
Il lavoro per redigere un piano è sicuramente lungo ed impegnativo, e comporta lavoro per anni tra studio, rilievo e pianificazione, ma rimane comunque l’unico modo per evitare le degradanti periferie, altro tema caldo dei nostri tempi, oppure esempi di contenzioso tra Soprintendenza e Comuni, come nel caso del Colle dell’Infinito.
Qualche anno fa a Recanati un privato cittadino fece richiesta al Comune per un ampliamento di cubatura per la propria abitazione. Il caso fece scalpore perché l’abitazione si trovava proprio nel raggio visivo che dalla casa di Leopardi va verso il famosissimo colle. Essendo presente un vincolo paesaggistico sul colle, la Soprintendenza cercò di bloccare l’autorizzazione con i mezzi che possedeva, cioè estendendo il vincolo. Il ricorso al TAR fu prevedibile e così anche il verdetto: il cittadino vinse perché la Soprintendenza aveva agito con un “eccesso di potere”, l’ampliamento di cubatura venne realizzato.
Questa spiacevole situazione si sarebbe potuta evitare se fosse stato approvato un piano paesaggistico con il quale, tenuti conto i vincoli sui beni culturali e paesaggistici, si sarebbe evitata a monte una richiesta inopportuna, per la tutela del territorio, come questa appena citata.
Altro esempio: fuori Roma la via Ardeatina, nella zona di S. Palomba, interi quartieri residenziali (già poveri si servizi per la comunità) stanno subendo un altro tremendo fenomeno. Fabbriche, discariche e depositi petroliferi stanno pian piano accerchiando le abitazioni; ci tengo a precisare che non sono abitazioni abusive.
Se a monte fossero stati previsti nella pianificazione, i diversi ambiti nel territorio, ora i cittadini non si troverebbero a dividere le uniche strade di accesso alle zone residenziali e alle scuole con enormi tir.
Questo per dire che, finché il controllo sul territorio non verrà regolato da accurati piani paesaggistici, si verificheranno purtroppo situazioni di questo genere, nelle quali, come già detto, vincerà il singolo (speculatore o non) rispetto ad un più importante bene pubblico.